venerdì 6 ottobre 2017

Poble armat, poble respectat




Non è certo specialmente in questi giorni di “avvenimenti pressanti” che ci siamo posti la questione del cosiddetto “indipendentismo”, che riguardi la Catalogna o qualsiasi altro territorio del mondo. Parlare di “indipendentismo”, a nostro parere, dovrebbe generare una questione assai più significativa e reale: da che cosa si dovrebbe essere indipendenti? La risposta, in definitiva, non è poi così complessa. La “Spagna” è uno stato “sovrano” imposto, come tutti gli altri. Non è meno imposto dell'Italia, della Francia, della Nigeria, della Cina o di tutti gli altri. Gli “stati”, quali che siano gli ordinamenti politici e i regimi che sono andati reggendoli nel tempo e nei frangenti storici, hanno tutti una cosa in comune: vivono sull'annullamento della multiculturalità, sull'oppressione della vita, sulla repressione linguistica, sull'attacco sistematico e mortale alla biodiversità. Questo vale per la penisola Iberica come per qualsiasi territorio del mondo, ivi compreso il nostro; e se è giusto parlare di colonialismo, non bisogna scordare che ogni stato, in sé e per sé, è portatore di un colonialismo “interno” frutto di prevaricazioni, guerre, sfruttamento e teorie “unitaristiche” che risentono tuttora dei nazionalismi ottocenteschi.

Limitandoci qui al continente europeo, la formazione dei suoi “stati” è avvenuta invariabilmente così; e, ovviamente, bisogna anche tenere preciso conto che gli “stati” europei hanno mutato fisionomia, consistenza e ampiezza. Molti di essi sono del tutto scomparsi nel tempo, anche vasti e importanti (si pensi solo all'impero Austroungarico, alla Jugoslavia, allo “Stato della Chiesa”, alla DDR...) Questo vale anche per la “Spagna”, che si è venuta a formare da un dato “nucleo storico” che, via via, ha inglobato tutti gli altri territori. Territori spesso diversissimi per lingua, per cultura e per tradizioni (intese come sistema reale di relazioni all'interno di una data comunità, e non certamente come la vuota esteriorità spacciata dai fascismi più o meno foraggiati dalle varie chiese di qualsiasi “dio”). Dal punto di vista formale e storico, la Catalogna è stata indipendente, o stato sovrano, per centinaia di anni e fino all'inizio del XVIII secolo; fu annessa alla “Spagna” soltanto nel 1714.

Ciò che regge gli “stati” non è in realtà una presupposta “cultura comune” e men che mai una data lingua letteraria (al momento dell'unità d'Italia, nel 1860, l'italiano letterario era compreso e usato solo dal 2% della popolazione di allora, secondo i dati analizzati da Tullio De Mauro). Lo si vede allora come ora. Ciò che regge gli “stati” è esclusivamente l'economia, il profitto. La repressione attuale del “democratico” stato spagnolo, sotto la patina dell' “unità nazionale” e dell' “indivisibilità della patria” basata su una “costituzione”, non fa neanche più di tanto per nascondere quello che è il vero problema: il denaro. Gli scenari catastrofici, ben spalleggiati da tutta l' “Unione Europea”, sono tutti a base di terrorismo economico, di banche che lasciano la Catalogna, di “guerra civile” che in realtà sarebbe guerra di soldi, come sempre. Il Banco Sabadell, una delle principali banche catalane, già lascia la Catalogna per trasferire la sua sede a Alicante; secondo “El Mundo”, quotidiano spagnolo di punta, il ministro dell'economia Luis de Guindos già sta preparando un decreto-legge per facilitare la fuga delle aziende dalla Catalogna. In pratica, secondo tale decreto, con un semplice voto del consiglio di amministrazione di un'azienda si renderebbe operativo lo spostamento della sede sociale. Lo scopo è chiaro: se andate avanti con l'indipendenza, vi strangoliamo economicamente. Fine della storia.

Gli “stati sovrani” sono figli e amanti del capitale. Possono o meno, a seconda delle circostanze del momento, servirsi di vari bracci armati, dalle forze armate alle chiese, dai banchieri ai fascismi. La facile obiezione è, naturalmente, che anche una Catalogna, in fondo, desiderebbe essere a sua volta uno “stato sovrano”, indipendente, e senza nemmeno comprendere tutti i territori di lingua e cultura catalana (il Rossiglione francese, il Valenciano, le Baleari, Andorra e perché non anche Alghero in Sardegna...). Una Catalogna che “non farebbe parte dell'Unione Europea”, vale a dire del sistema di controllo economico e bancario “sovranazionale”, il club dal quale, però, qualcuno se ne vuole andare e lo fa. Quando però all' “Unione Europea” fa molto comodo dividere uno “stato”, non ci pensa due volte e magari col corollario di qualche centinaio di migliaio di morti: si veda l'ex Jugoslavia. Allora nessuno si preoccupava così tanto della “guerra civile”. Hanno lasciato fare in nome del marco tedesco, c'est l'argent qui fait la guerre. Quando c'è da "stigmatizzare il nazionalismo" (in nome magari di un nazionalismo di destra, quello della "Patria") sono tutti antinazionalisti; quando invece c'è da soffiarci sopra, e soffiarci fino a incendiarlo a morte, sono tutti indipendentisti (w la "Croazia nazione" eccetera).

Stavolta, come si vede, dividere la “Spagna” è uno scenario catastrofico. Qui vorremmo ribadire invece che la catastrofe non è né la Catalogna indipendente, né il desiderio di qualche popolo di staccarsi da una varia entità “statale” e dalla sua falsa “democrazia” fatta di soldi: la catastrofe è il capitalismo, ed il suo intero sistema che sta andando in pezzi nonostante le sue grancasse, i suoi burattinai, i suoi media e i suoi servi. Il problema non è la Catalogna e quel che desidererebbe fare di se stessa: il problema è lo spauracchio di una rivoluzione sociale che parta da forze centrifughe, che parta dalla riaffermazione di una biodiversità repressa in ogni ambito, che parta da proposte senz'altro e spesso ancora confuse e contraddittorie, ma che hanno una spinta comune: quella di non fare più parte di un tragico pollaio globale dove alcuni galli dettano le condizioni e le concessioni (tipo “autonomie” o roba del genere). E il capitale, coi suoi re e i suoi economisti, con le sue banche e con le sue polizie, con i suoi giornali e i suoi partiti “democratici”, se ne rende conto. Per questo fa quadrato, quando gli fa comodo, attorno a questo o quello “stato”, oppure lo lascia andare in rovina quando il comodo è diverso. Per questo ciancia di “autodeterminazione dei popoli” quando il dato popolo dev'essere accalappiato nella sua orbita, e di “indivisibilità” quando un dato popolo ne vuole sia pur vagamente scappare. Non bisogna stupirci né se la “democrazia” capitalista, a seconda dei casi, ti manda i poliziotti a manganellarti a centinaia e ti rinchiude in gabbia se vuoi fuggire, oppure se ti organizza la “guerra civile” o i bombardamenti se invece desideri restare assieme; “indipendenze” e “unioni” non hanno valore, quel che conta è esclusivamente tutelare il profitto. In quest'ottica non possiamo quindi che essere a fianco della Catalogna nella sua lotta, che non si esaurirà certo in un referendum. Sarà bene ricordare quel che si leggeva e si legge sia a Barcellona, sia nelle cittadine catalane, che non è una chiamata a una votazione: Poble armat, poble respectat. E non crediamo ci sia bisogno di traduzione. Catalunya lliure!

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