C’è crisi? Il capitalismo non può avere la cura, perché è la malattia.
Sono mesi che sentiamo parlare di “crisi”, della “necessità di tornare a crescere”, di “modernizzazione”, di “sacrifici nell’interesse della nazione”. Concetti che ci parlano di problemi da risolvere sulla base di un fantomatico “interesse comune”. E’, però, chiaro che quando la coperta è troppa corta, se copri da una parte, scopri dall’altra e governanti, padroni e media tentano sempre di coprire se stessi.
Con la scusa dell’urgenza e dell’instabilità, industriali e banchieri ne approfittano per proseguire nell’opera di privatizzazione delle imprese statali e di svendita dei beni pubblici, per cancellare lo Statuto dei Lavoratori, per derogare al Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (applicando, di fatto, il “modello FIAT” di Marchionne a tutti i settori), per licenziare più facilmente (abolendo per decreto l’art.18), per innalzare l’età pensionabile e, con la scusa di un finto rilancio della produttività, abolire le festività nazionali non religiose come il 25 aprile, il 1 maggio e il 2 giugno. Si tenta di distruggere per sempre diritti acquisiti con anni di dure lotte, smantellando quel che resta dello stato sociale.
Il problema non risiede nella crisi, ma nel sistema economico da cui scaturisce.
Non sarà un mutamento di governo che cambierà la situazione: chi sfrutta in nome del profitto, delocalizza in cerca di manodopera ricattabile a minor costo, reprime, scatena guerre, specula e inquina in nome del mercato e della concorrenza, appartiene, infatti, ad entrambi gli schieramenti.
Non sono Lorsignori che devono spiegarci la crisi e farcela vivere dalle colonne dei loro giornali o dalle immagini dei loro programmi televisivi. Sappiamo benissimo quali sono i luoghi dove subiamo lo sfruttamento, che siano l’ufficio, il cantiere o la fabbrica e conosciamo per nome e cognome i nostri aguzzini, pronti oggi a chiederci lo straordinario e domani a darci il ben servito.
Sappiamo che è all’interno della scuola e dell’università che veniamo progressivamente privati della coscienza critica e “formati” in modo tecnico e nozionistico, abituati all’egoismo e alla concorrenza, privati degli spazi di socialità e collettivizzazione.
Sappiamo quali sono i servizi di cui è privo il nostro quartiere o quelli che ieri c’erano e oggi non ci sono più.
Lavoro, Scuola, Università e Territorio: spazi all’interno dei quali rilanciare il nostro protagonismo perché solo così saremo capaci di far fronte comune all’attacco che stiamo subendo.
In questo contesto non è un caso che il taglio dei 28 miliardi delle spese militari non sia argomento di discussione: la guerra, domani più di quanto non sia stata in passato, sarà la logica prosecuzione della politica, non solo nei teatri di guerra dove sfrecciano i caccia e avanzano i carri armati, ma anche sui nostri territori.
In quest’ottica è necessario riallacciare quei legami che stanno tentando in ogni modo di distruggere: esprimiamo quindi la nostra solidarietà al CoBas della Richard-Ginori ed in particolare ai tre lavoratori colpiti da provvedimento disciplinare con la sospensione dal lavoro, “rei” di aver messo in cattiva luce l’azienda, così come a tutti coloro che sono colpiti dalla repressione. Nella fase attuale, ancor più di prima, è necessario, infatti, diffondere ed organizzare la solidarietà.
Non saremo al fianco né dell’industriale che lavora per accrescere il suo profitto, né di governi che chiamano al sacrificio nazionale, né del sindacato accondiscendente al padrone.
Saremo al fianco di chi lotta per cambiare questa realtà, di chi subisce questa crisi in ogni aspetto della sua vita, di chi questo sistema non lo vuole riformare, ma abbattere.
Centro Popolare Autogestito Firenze Sud, Collettivo Politico Scienze Politiche, Rete dei Collettivi Fiorentini, Cantiere Sociale Camilo Cienfuegos, Collettivo del Fondo Comunista.
Sono mesi che sentiamo parlare di “crisi”, della “necessità di tornare a crescere”, di “modernizzazione”, di “sacrifici nell’interesse della nazione”. Concetti che ci parlano di problemi da risolvere sulla base di un fantomatico “interesse comune”. E’, però, chiaro che quando la coperta è troppa corta, se copri da una parte, scopri dall’altra e governanti, padroni e media tentano sempre di coprire se stessi.
La ricetta è semplice: privatizzazione dei profitti e socializzazione delle perdite.
Con la scusa dell’urgenza e dell’instabilità, industriali e banchieri ne approfittano per proseguire nell’opera di privatizzazione delle imprese statali e di svendita dei beni pubblici, per cancellare lo Statuto dei Lavoratori, per derogare al Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (applicando, di fatto, il “modello FIAT” di Marchionne a tutti i settori), per licenziare più facilmente (abolendo per decreto l’art.18), per innalzare l’età pensionabile e, con la scusa di un finto rilancio della produttività, abolire le festività nazionali non religiose come il 25 aprile, il 1 maggio e il 2 giugno. Si tenta di distruggere per sempre diritti acquisiti con anni di dure lotte, smantellando quel che resta dello stato sociale.
Il problema non risiede nella crisi, ma nel sistema economico da cui scaturisce.
Non sarà un mutamento di governo che cambierà la situazione: chi sfrutta in nome del profitto, delocalizza in cerca di manodopera ricattabile a minor costo, reprime, scatena guerre, specula e inquina in nome del mercato e della concorrenza, appartiene, infatti, ad entrambi gli schieramenti.
Non sono Lorsignori che devono spiegarci la crisi e farcela vivere dalle colonne dei loro giornali o dalle immagini dei loro programmi televisivi. Sappiamo benissimo quali sono i luoghi dove subiamo lo sfruttamento, che siano l’ufficio, il cantiere o la fabbrica e conosciamo per nome e cognome i nostri aguzzini, pronti oggi a chiederci lo straordinario e domani a darci il ben servito.
Sappiamo che è all’interno della scuola e dell’università che veniamo progressivamente privati della coscienza critica e “formati” in modo tecnico e nozionistico, abituati all’egoismo e alla concorrenza, privati degli spazi di socialità e collettivizzazione.
Sappiamo quali sono i servizi di cui è privo il nostro quartiere o quelli che ieri c’erano e oggi non ci sono più.
Lavoro, Scuola, Università e Territorio: spazi all’interno dei quali rilanciare il nostro protagonismo perché solo così saremo capaci di far fronte comune all’attacco che stiamo subendo.
In questo contesto non è un caso che il taglio dei 28 miliardi delle spese militari non sia argomento di discussione: la guerra, domani più di quanto non sia stata in passato, sarà la logica prosecuzione della politica, non solo nei teatri di guerra dove sfrecciano i caccia e avanzano i carri armati, ma anche sui nostri territori.
In quest’ottica è necessario riallacciare quei legami che stanno tentando in ogni modo di distruggere: esprimiamo quindi la nostra solidarietà al CoBas della Richard-Ginori ed in particolare ai tre lavoratori colpiti da provvedimento disciplinare con la sospensione dal lavoro, “rei” di aver messo in cattiva luce l’azienda, così come a tutti coloro che sono colpiti dalla repressione. Nella fase attuale, ancor più di prima, è necessario, infatti, diffondere ed organizzare la solidarietà.
Non saremo al fianco né dell’industriale che lavora per accrescere il suo profitto, né di governi che chiamano al sacrificio nazionale, né del sindacato accondiscendente al padrone.
Saremo al fianco di chi lotta per cambiare questa realtà, di chi subisce questa crisi in ogni aspetto della sua vita, di chi questo sistema non lo vuole riformare, ma abbattere.
Centro Popolare Autogestito Firenze Sud, Collettivo Politico Scienze Politiche, Rete dei Collettivi Fiorentini, Cantiere Sociale Camilo Cienfuegos, Collettivo del Fondo Comunista.
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