R/ESISTENZE OVVERO:

USCIRE DALL’IMBARAZZO DI AVERE SOLO RISPOSTE SBAGLIATE ALLA DOMANDA CHE PIÙ FREQUENTEMENTE CI VIENE POSTA: “PERCHÉ SIETE SEMPRE A SCAZZARE TRA VOI? PERCHÉ NON RIUSCITE MAI A FARE LE COSE INSIEME?”.

Mutuo soccorso come base minima di riorganizzazione del movimento.

R/esistenze nasce come rete cittadina di mutuo soccorso in difesa delle autogestioni del nostro territorio. La facile obiezione per cui non serve certo un’assemblea a cadenza regolare per portare solidarietà ai compagni colpiti dalla repressione ha trovato nella pratica la sua smentita. Poter analizzare e organizzare collettivamente le risposte agli attacchi della controparte, oltre ad un maggiore livello di efficienza e di attivazione basata sulla semplice affermazione: “se toccano uno toccano tutti”, ci consegna la precisa sensazione di non star difendendo quegli amici un po’ strani che non inviteremmo mai a casa dei genitori, ma di star difendendo noi stessi. Se non è certo dimostrabile che questo cambio di paradigma, con le implicazioni che esso comporta, possa svolgere (o possa aver già svolto) un effetto deterrente verso chirurgiche operazioni di polizia in particolare verso i tanti collettivi che insistono su degli spazi occupati, ci pare invece certo che la costruzione di questo “noi” sia il primo passo per uscire dall’impotenza in cui sembra relegato il movimento italiano. Un “noi” in divenire che trova al momento la sua maggiore dimensione identitaria nell’autogestione vista e vissuta non solo come mezzo, ma anche come fine della lotta stessa.

Se sono i nostri comportamenti ad averci condotti sin qui (leggi: l’attuale catastrofe del movimento rivoluzionario), bene, allora cambiamo i nostri comportamenti.

La fase politica attuale non arride certo a un mutamento in direzione rivoluzionaria dell’esistente, negarlo o non porre tale ovvietà al centro del dibattito politico è parte del problema. Indagare le cause esterne al movimento dell’attuale situazione socio-politica italiana non può essere il paravento dietro cui nascondere quelli che non dobbiamo aver paura di chiamare i nostri errori ormai congeniti. Della necessità di distruggere i nostri automatismi militanti è dunque ciò di cui dobbiamo prendere coscienza. L’automatismo più tossico, di cui troppo raramente siamo consapevoli, è il guardare alla crescita della propria realtà come alla crescita del movimento e il faticare degli altri gruppi come ad un’occasione per guadagnare terreno, per far acquisire più forza alla nostra posizione. Nulla di più falso: tanto il capitale che gli sfruttati che quotidianamente ci camminano a fianco se ne fregano bellamente delle nostre litigiose posizioni. Possiamo continuare a comportarci come i capponi di Renzo, appagando la nostra presunzione militante in attesa del boia, o approdare a quella conclusione che, senza scomodare Ockham e il suo rasoio, la più svampita delle nostre nonne potrebbe consigliarci: il principio per cui “l’unione fa la forza”. Ciò non significa appianare le differenze, anche ideologiche, che costituiscono la reale ricchezza del movimento italiano, significa discutere assieme della pratica più efficiente in relazione all’obiettivo comune che ci poniamo.

La miglior difesa è l’attacco, il miglior attacco è congiunto.

Lo sappiamo da tempo: non ci si difende dalla minaccia di uno sgombero rinchiudendosi dentro uno spazio e cercando di “infastidire” il meno possibile la controparte, al contrario la barricata più resistente che possiamo costruire è fatta dalle relazioni che riusciamo ad intessere con il territorio e dalle lotte che in esso e con esso riusciamo a portare avanti. Il meccanismo è il medesimo per qualsiasi dinamica di autogestione. Non nasce però certo da una volontà di difesa dell’esistente il nostro desiderio di passare all’attacco, di divenire sempre più incisivi. Proprio la costruzione di quel “noi” condiviso fa emergere come sua naturale conseguenza il desiderio di attivare mobilitazioni tanto più forti quanto più organizzate in concerto (esempio: realizzare il corteo in difesa del Rojava in contemporanea alla giornata in Piazza del Carmine). Uno spazio perennemente aperto di confronto tra realtà consente inoltre dei tempi incredibilmente più snelli di reazione di fronte alle situazioni di emergenza che sempre più spesso ci troviamo ad affrontare. Una volta individuate tematiche comuni sono però anche le singole mobilitazioni delle realtà ad uscirne rafforzate. Pensiamo alla lotta alla gentrificazione: pur portata avanti autonomamente e con i mezzi che preferisce da una realtà sul proprio territorio, questa esce enormente potenziata dalla relazione con lotte simili, attraverso strumenti come calendari e parole d’ordine comuni, contatti con esperti e tecnici, ricondivisione sui social di analisi e iniziative, ecc. L’assemblea ha dunque l’obiettivo di divenire percebile all’esterno non come l’ennesimo impegno per cui il tempo non si trova mai, ma l’esatto opposto: R/esistenze come capacità di risposta immediata e come moltiplicatore di visibilità ed energie.

Chiari i meriti, si tratta ora di entrare nel merito.

Le differenze tra realtà diverse permangono, ma solo ad un’analisi superficiale rappresentano lo scoglio contro cui questa nave inevitabilmente dovrà naufragare. Conosciamo bene le assemblee cittadine: ogni realtà si presenta con la sua posizione che deve far passare ad ogni costo, ricorrendo anche alle armi più bieche della politica. Mediare, ridiscutere, valutare le diverse anime e sensibilità.. insomma, modificare il proprio pensiero, non è possibile neanche volendolo, pena la scomunica da parte dell’assemblea di riferimento che non è presente in toto all’assemblea e non può essere aggiornata in tempo reale. Queste assemblee non possono che divenire momenti di ratifica di decisioni già prese altrove da chi può o vuole fare la voce più grossa. Questo modello basato su una logica egemonica è esattamente ciò a cui non vogliamo tendere. Chi partecipa all’assemblea di Resistenze ha il potere di decidere. Le valutazioni fatte dalle singole realtà sono importanti tracce di cui tener di conto, ma non hanno potere vincolante. Non andando a modificare i percorsi già avviati dalle singole realtà, ma organizzandone di nuovi, l’assemblea di R/esistenze applica il metodo per cui “chi più fa, più decide”. Questo non vuol dire essere escludenti, tutt’altro: significa che qualsiasi gruppo può partecipare a R/esistenze con la modalità che preferisce, da una presenza generale, ma saltuaria, fino all’attivazione su un’unica e specifica lotta. Questo però senza stravolgere o piegare ai propri fini personalistici l’intera assemblea. Lo sforzo, a cui non siamo abituati, è partecipare a R/esistenze cercando di capire assieme qual è la cosa migliore per l’intera assemblea, senza fughe in avanti, ma senza muoversi al passo del più lento. La libera scelta dei partecipanti della modalità con cui contribuire all’assembea e del carico di impegni assumibile permette inoltre di fugare qualsiasi dubbio sull’ipotesi di un coordinamento che vada a sovradeterminare le singole assemblee. Questo metodo decisionale ha inoltre un’altro vantaggio in quanto non preclude ai singoli la partecipazione all’assemblea: non solo perchè sappiamo bene di aver bisogno dell’ingegno, la forza e l’entusiasmo di ciascuno, ma anche perchè permette di intercettare chi vuole attivarsi su una specifica mobilitazione, senza il carico di partire da una di quelle posizioni identitarie che volenti o nolenti ogni realtà si porta dietro. Una buona opzione in tale direzione potrebbe essere il rendere pubblico l’odg dell’assemblea permettendo la partecipazione a singoli e collettivi sin dall’inizio di ogni percorso.

Osare.
Il tentativo sin qui descritto è quello di dar voce e opportunità di intervento alle più varie e disperse energie: smettere di pensare soltanto ad accumulare forza e cominciare ad usarla, unire quelle gocce che soltanto assieme possono diventar tempesta. Dotarsi di un immaginario comune che possa risultare appetibile e che sia reso tangibile attraverso strumenti condivisi come il calendario online de “La punta”, il blog, la radio.. Divenire una forza che riesca realmente ad incidere nelle dinamiche cittadine, un’assemblea di agitazione permanente che se vincente possa divenire un modello riproducibile altrove.