Dicono che le vogliono abolire, le province; però, quando si tratta di utilizzarle per limitare i movimenti di qualcuno che, per un dato periodo, è rimasto imprigionato per le fantasie su ordinazione di qualche eroico procuratore (ogni riferimento al Casellon de' Caselloni è puramente intenzionale), allora i confini provinciali funzionano sempre a pieno regime. Insomma, partiamo dalla cosa più importante: Antonio Ginetti è fuori. Fuori dalla galera, che essa fosse rappresentata prima da un edificio apposito, e poi da casa sua. Nell'edificio apposito c'era entrato il 26 gennaio scorso, durante il blitz caselliano contro il movimento NO TAV; qualche tempo dopo, la galera si era trasferita nella sua bella casa. Non crediate, se parlo di "bella casa", che io intenda parlare di una villa, o di un superattico, o di cose del genere; per me una bella casa è anche un buco, quando questo buco rispecchia in ogni centimetro quadrato una vita, le sue lotte, le sue lacrime e le sue meraviglie che non cedono.
Per uscire dalla galera, comunque essa fosse costituita, Antonio Ginetti ha dovuto farsi venti e più giorni di sciopero della fame, e non di quelli alla marcopannella. Ha dovuto rompere i coglioni quando "chi di dovere" si attendeva sottomissione. Antonio Ginetti rappresenta invece l'essenza stessa di una bella parola francese, insoumis. E così, stasera, una bellissima serata di prima estate dove non s'avvertiva traccia alcuna né delle loro parate e né delle loro "repubbliche democratiche", siamo andati a festeggiarlo proprio sotto casa sua, che era tornata appena ad essere una casa a tempo pieno. Ne ha conosciute, di galere, Antonio Ginetti. E se le è fatte tutte da uomo libero dentro. Essere liberi dentro, e rimanerlo a dispetto di tutto, è una cosa che non piace ai servi degli atti ufficiali. E, infatti, proprio un atto ufficiale stasera Antonio ha voluto leggere, definendolo uno dei più bei complimenti che gli siano stati fatti. "Un complimento così", ha detto Antonio, "lo si può fare o per grande amore, o per grande odio. Poiché mi è stato fatto da chi, ancora, mi rifiutava la libertà, è un complimento che è frutto dell'odio puro, ma non per questo mi dà minore soddisfazione". Era, in pratica, il documento con il quale, non più di due o tre giorni prima della decisione del Tribunale del Riesame che ha mandato libero Antonio Ginetti, il GIP (una tipa con uno di quei cognomi che ti fanno già da soli capire che si tratta di una mandaingalera di merda) "esprimeva parere sfavorevole" alla sua scarcerazione definendolo "persona dal comportamento non collaborativo e refrattaria a qualsiasi sottomissione", o roba del genere. Non sono le parole esatte, e io non giro col taccuino; ma il concetto è quello. Un insoumis. Ho, a tale riguardo, ritenuto opportuno di andare brevemente al microfono sistemato in piazza, per ricordare che tali parole mi ricordavano da vicino la definizione di "insuscettibile di ravvedimento" che l'autorità fascista usò sulla scheda di Alfonso Failla.
Era allegro, Antonio. Mangiava poco, con attenzione estrema; dopo venti e più giorni di sciopero della fame vero, del quale ha tenuto un resoconto meticoloso diffondendo comunicazioni attraverso i canali antagonisti, non doveva certamente esagerare. In piazza, sotto casa sua, non era soltanto una festa, pur comprensibile: era un vero e proprio presidio NO TAV in pieno centro di Pistoia. E gli è stata messa, a Antonio, anche una canzone che (lo) dice praticamente tutto, senza sbagliare un accento: Ma chi ha detto che non c'è di Gianfranco Manfredi. Naturalmente, a breve distanza e riconoscibilissimi anche da un bambino piccolo, c'erano due o tre sbirri a sorvegliare. C'è chi ha proposto di portar loro gentilmente un bicchiere di vino (previa sputata e/o pisciata nel bicchiere, of course). Non è mancato neppure un soave brindisi al Casellon de' Caselloni, che Iddìo gli conceda tanta salute (ma anche no). Poi mi fermo qui, perché questo non è e non vuole essere il "resoconto di una festa", bensì di un momento di lotta che non si ferma e non si fermerà. Allegro quanto si vuole, perché un compagno che esce di galera genera allegria (ma Antonio, come ha detto lui stesso, riesce ad essere allegro anche dentro, e gliela sbatte nel muso a quelli, la sua allegria); ma la lotta non viene meno, in nessun momento. Sarà bene che se ne ricordino, ivi compresa la Cancellieri che parla di "pacificazione".
Antonio Ginetti, come dicevo all'inizio, per il momento non può uscire dai confini della provincia di Pistoia. Sarebbe bello, mi è venuto da pensare, organizzare presìdi alle frontiere. A Agliana, a Ponte della Venturina, nella "Svizzera Pesciatina". Ma, tanto, figuriamoci se un Antonio Ginetti ha confini. Ha fatto un'intervista di 36 minuti a Radio Blackout (di Torino) raccontando tutta la sua vita e tutte le sue lotte; chissà se i limitatori giudiziar-provinciali intendano istituire anche le provincie dell'etere. Basterebbe questo per far capire quanto siano fuori dal mondo, e quanto in fondo, nonostante il loro schifoso mestiere sia quello di mettere in galera chi combatte per un mondo migliore, in galera ci siano più loro che noi. Sono nella galera della loro schiavitù volontaria che vorrebbero estendere a tutto e tutti, senza riuscirvi. Stanno in provincia di Servia, e dai suoi confini non usciranno mai.
NB. Articolo scritto da un compagno che frequenta il Fondo Comunista, per questo l'articolo è in prima persona. Ma quasi l'intero Fondo era presente a Pistoia. Antonio Ginetti si vede spesso al Fondo, e tutti speriamo di rivedercelo assai presto.
NB. Articolo scritto da un compagno che frequenta il Fondo Comunista, per questo l'articolo è in prima persona. Ma quasi l'intero Fondo era presente a Pistoia. Antonio Ginetti si vede spesso al Fondo, e tutti speriamo di rivedercelo assai presto.
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